“La FORMA delle cose” è la nostra rubrica, recentemente il nome del nostro canale podcast e iniziativa delle live sui social (martedì e giovedì alle 03:33 PM). Quando parliamo di “FORMA” delle cose, però, cosa vogliamo sottolineare? Non è solo un gioco di parole con il nostro marchio (Forma Luxury Living). È una visione dell’architettura e del design che ci accompagna nel nostro lavoro. Prodotti, progetti, materiali, hanno una loro forma visiva, olfattiva, tattile, definita da un’idea di gusto, scolpita dal suono e nel suono. “Forma” delle cose vuole proprio significare questo: vedere l’interior design attraverso le lenti dei sensi che ne plasmano le innumerevoli manifestazioni.
Siamo culturalmente portati a valutare la qualità spaziale, e tutte le scelte che ad essa contribuiscono, unicamente da un punto di vista visivo. Come opportunamente sottolineato da Pallasmaa nel suo libro “The eyes of the skin” (1), questa tendenza a privilegiare la vista rispetto agli altri sensi ha una radice storica, ma anche delle ragioni che risiedono in imprescindibili fattori fisiologici, percettivi e psicologici.
L’egemonia dell’immagine visiva è un caposaldo del pensiero occidentale, una tendenza evidente dell’architettura dell’ultimo secolo e un fattore naturale di cui tener conto. Tuttavia i problemi sorgono quando operiamo delle scelte dove l’occhio viene isolato e privato della sua naturale interazione con le altre modalità sensoriali. Una separazione che frammenta la complessità del sistema percettivo, rendendo più forte il senso del distacco e dell’alienazione.
È essenziale riportare il corpo, nel suo complesso, al centro del sistema esperienziale e conoscitivo. Educarlo a misurare l’ambiente che ci circonda attraverso sperimentazioni sensoriali, che si integrano attraverso il corpo e ci permettono di interagire con i luoghi e costruire significati.
“Qualsiasi luogo può lasciare delle impressioni, in parte perché è irripetibile, ma anche perché ha stimolato il corpo e ha generato delle associazioni che ci hanno consentito di accoglierlo nel nostro mondo personale”. (2)
La percezione del corpo e l’immagine del mondo diventano, così, una singola continua esperienza esistenziale.
“Non c’è corpo separato dal suo domicilio nello spazio e non c’è spazio se non connesso all’immagine inconscia del sé che percepisce”. (1)
La collaborazione tra l’occhio e gli altri sensi è indispensabile per costruire la nostra percezione della realtà, e ogni esperienza architettonica è multisensioriale: la qualità dello spazio, la materia e la scala sono misurate a una tempo dall’occhio, dall’orecchio, dal naso, dalla pelle, dalla lingua, dallo scheletro e dai muscoli.
“Noi vediamo la profondità, il velluto, la morbidezza, la durezza degli oggetti – Cézanne dice perfino: il loro odore.” (3)
La misura della vista
La percezione visiva induce all’esperienza attiva di uno spazio, alla sua scoperta attraverso le funzione che suggerisce. Gli oggetti che ci circondano riflettono l’azione possibile su di essi. Pallasmaa suggerisce che
“proprio questa possibilità di azione che separa l’architettura dalle altre forme d’arte”.
Tornando però al concetto di polifonia dei sensi, ogni esperienza che si fa di uno spazio architettonico non può che coinvolgere una reazione corporea. Pensiamo a come facciamo esperienza della nostra casa. L’ambiente domestico è visivamente strutturato per accogliere e definire le diverse attività quotidiane – cucinare, mangiare, socializzare, leggere, dormire – ma facciamo esperienza di queste attività attraverso il nostro corpo. La funzione della dimensione visiva è dunque quella di dirige e organizzare comportamento e movimento.
La misura dell’udito
“La vista isola, laddove il suono incorpora, la vista è direzionale, laddove il suono è onnidirezionale.” (1)
Di solito non siamo consapevoli dell’importanza dell’udito nell’esperienza spaziale, anche se spesso il suono fornisce importanti informazioni su come è strutturato e articolato l’ambiente. Il suono misura lo spazio e ne rende comprensibile l’estensione.Sull’interazione tra spazio e suono è significativo questo passaggio del libro di Pallasmaa:
“Chiunque sia rimasto incantato ad ascoltare il suono di una goccia d’acqua nell’oscurità di un rudere può testimoniare la straordinaria capacità dell’orecchio di scolpire un volume nel vuoto dell’oscurità. Lo spazio tracciato dall’orecchio nell’oscurità diventa una cavità scolpita direttamente nell’interiorità del pensiero”. (1)
La misura della pelle
“L’occhio indaga, controlla e investiga, il tatto avvicina e accarezza”. (1)
La pelle legge la trama, il peso, la densità e la temperatura della materia, è la linea di separazione tra il nostro io interiore e l’esterno. Secondo Ashley Montagu (4), il tatto è il “padre di tutti i sensi”. Attraverso la pelle, tocchiamo il mondo. Questo incontro corporeo tra noi e l’architettura, tra noi e lo spazio in cui siamo inseriti è conoscenza profonda.
“Il tocco è la modalità sensoriale che integra l’esperienza che abbiamo del mondo con quella che abbiamo di noi stessi.”(1)
La misura del gusto
Stokes, nel suo libro “Smooth and Rough”, scrive di come il marmo veronese inviti ad essere mangiato e riporta una lettera di John Ruskin che afferma di volersi mangiare “Verona pezzo per pezzo”.
Esiste una sottile compenetrazione tra esperienze visuali, tattili e gustative. A livello inconscio trasferiamo continuamente alla memoria gustativa immagini e esperienze tattili.
La misura dell’odore
“Gli uomini possono chiudere gli occhi davanti alla grandezza, davanti all’orrore, e turarsi le orecchie davanti a melodie o a parole seducenti. Ma non possono sottrarsi al profumo. Poiché il profumo è fratello del respiro.” (5)
Quello che dello spazio ricordiamo più chiaramente è l’odore che ha. Ogni casa ha un proprio odore che ti colpisce al volto come fosse una parete invisibile dietro la porta.
Un particolare odore ci riporta inconsciamente in uno spazio che la memoria retinale aveva completamente scordato. Il naso permette agli occhi di ricordare.
La nostra dimora è il rifugio del nostro corpo, della nostra memoria e della nostra identità.“Io sono il mio corpo”, afferma Gabriel Marcel, ma “io sono lo spazio in cui sono” sostiene il poeta Noel Arnaud.
Riferimenti
(1) Pallasmaa, J. (2005), The eyes of the skin. Architecture and the Senses, John Wiley & Sons Ltd
(2) Bloomer, K.C. Moore, W. (1981), Corpo, memoria, architettura. Introduzione alla progettazione architettonica, Sansoni, Firenze
(3) Merleau-Ponty (nd), Senso e non senso
(4) Montagu, A. (1989), Il linguaggio della pelle, A. Vallardi, Milano
(5) Süskind, P. (2017), Profumo, Tea